Qualcuno ha detto che la pandemia è democratica e colpisce tutti allo stesso modo. Certo è che quello che è nella nostra quotidiana esperienza, ci insegna in modo doloroso che il mondo ormai è sempre più strettamente interconnesso. E questo sia nel bene che nel male. Forse è giunta l’ora di prendere coscienza, tutti, che il nostro benessere deriva più dal buon funzionamento della società che dai pur rilevanti talenti personali. Talenti che, non lo scordiamo mai, non potrebbero essere espressi senza l’esistenza stessa di una società complessa intorno a noi. E’ giunta l’ora di non perseguire più gli eccessi edonistici ma un sano e dinamico equilibrio vitale nella nostra società, in tutte le sue componenti. Dobbiamo ridurre (ma non azzerare) la competizione e favorire la collaborazione con misure anche strutturali. Misure che realizzino una maggiore redistribuzione delle risorse in modo che anche in tempo di corona virus nessuno sia lasciato indietro, ma anche che ognuno possa dare il suo contributo al progresso collettivo.
Che siamo tutti (anche se in misura diversa) vittima di pochissimi straricchi che, dietro le quinte, plagiano il sistema, come qualcuno lo ha capito bene e da tempo; ma questo non esclude che anche noi comuni cittadini abbiamo la nostra parte di responsabilità per come va il mondo.
Francamente mi sembra che in troppi non abbiano ancora capito che il reddito delle persone fisiche deve avere un limite di “sostenibilità sociale”. Quelle che purtroppo, molti ritengono ancora “giuste aspirazioni umane ad arricchirsi”, in qualunque società complessa ben funzionante, devono avere un limite, seppure adeguatamente alto e dinamico. L’avidità – o la parsimonia, come qualcuno ama chiamarla – ha un ruolo utile solo se viene esercitata entro certi limiti, altrimenti crea danno e si rischia di fare la fine dell’avaro di Molière.
Mi spiego meglio, con un esempio volutamente estremo. Anche farsi giustizia da soli sarebbe una “giusta aspirazione umana” o comunque un impulso fondamentale dell’uomo. Ciò non dimeno è evidente che deve essere limitata, altrimenti avremmo il crollo di qualunque società complessa. E’ per questo che perfino nelle peggiori dittature, esiste il divieto all’omicidio e la giustizia deve , giustamente, essere gestita non dal singolo ma dalla polizia, dalla magistratura e dal sistema carcerario. Analogamente, anche il reddito personale deve avere un limite, coincidente con il limite in cui si rischia di passare dal benessere del singolo alla sua capacità manipolativa del prossimo e, nei casi peggiori, anche di governi e istituzioni.
Mettere un limite al reddito -se pure sufficeintemente alto da non danneggiare l’imprenditoria piccola e media e con un meccanismo dinamico legato al pareggio di bilancio dello stato – creerebbe un effetto a catena per cui , spontaneamente si disgregherebbero anche i grandissimi capitali, non più capaci di garantire, come oggi, ulteriore reddito. Si spezzerebbe quindi la spirale (ampiamente documentata da tanti economisti, tra cui Picketty con la monumentale opera ” Il capitale nel XXI secolo ” ) per cui chi è ricco tende a diventare ancora più ricco e si diminuirebbe, quindi, la competizione esasperata, aumentando invece la collaborazione.
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Una nuova proposta culturale e politica che, elevandosi dal concetto convenzionale di destra e sinistra , offre una necessaria visione d’insieme delle profonde interrelazioni che la nostra società presenta in modo, ogni giorno, sempre crescente.
Al momento, la migliore speranza per un cambiamento davvero sistemico e non di facciata. Una soluzione in fondo anche facile, per costruire davvero un mondo migliore per tutti.
Con profondo rispetto .
Ermanno Cavallini
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